In questi primi giorni di settembre, mentre tutto intorno sembra ripartire con energia - nuove agende, nuovi obiettivi, nuove routine - mi ritrovo spesso, nei momenti morti, a scorrere i social. Non faccio altro che imbattermi in video motivazionali, tutti con lo stesso ritornello: prendi in mano la tua vita, sii produttivo e costruisci la versione migliore di te stesso. Eppure, anziché sentirmi ispirata, li chiudo immediatamente. Li chiudo nella speranza che quel pensiero urgente, che mi assilla in sottofondo, torni a tacere.
Ma non tace.Eccolo di nuovo: "A che servo?". Una domanda semplice, ma che si insinua nei pensieri con la forza di un terremoto. Ho costruito una routine serrata, convinta che tenermi occupata sia la soluzione. Ma ogni volta che mi fermo, emerge un senso di disagio che non so spiegare. Non sono felice, né triste, né arrabbiata. Non sono nulla. Mi sento come un computer programmato per funzionare. Svolgo i miei compiti, uno dopo l'altro, e intanto penso: "Dai, che poi è finita". Ma cosa c'è alla fine? Un altro compito? Un altro obiettivo?
La maggior parte del tempo mi limito a esistere, trascinata dagli eventi. Questa apatia, questo essere "senza pathos", è una forma di morte lenta. In greco, "pathos" significa passione; in italiano questa parola è duplice: indica sia l'amare che il patire. Senza passione, non si vive. Si sopravvive. L'anima non cresce.
Lo dice bene Pasolini nel Pianto della scavatrice:"Solo l'amare, solo il conoscere/ conta, non l'aver amato,/ non l'aver conosciuto. Dà angoscia/ il vivere di un consumato/ amore. L'anima non cresce più".
Mi colpisce in particolare questa idea: l'anima cresce solo al presente, quando si ama, quando si conosce, quando si dà la vita a qualcosa o a qualcuno. Non in senso retorico, ma concreto: dare la vita significa dare il proprio tempo. Allora forse la domanda "A che servo?" cambia forma. Non è più un'accusa, ma una ricerca: "Per chi o per cosa vale la pena che io sia qui?". È una domanda che trova risposta quando accettiamo che non si tratta solo di essere utili e produttivi, ma di esserci per davvero. Di imparare a stare nelle cose che facciamo e a viverle, senza lasciare che accada il contrario.
Marta